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Riccardo Bisti
18 October 2018

Parla “Mou”: “consentiamo il coaching”

L'allenatore di Serena Williams pubblica un articolato pensiero, in quattro punti, in cui spiega perché il tennis dovrebbe accogliere il coaching. Alcuni punti sono condivisibili, ma un'eventuale legalizzazione potrebbe creare squilibri verso chi non se lo può permettere.

Sono trascorsi 40 giorni dalla discussa finale dello Us Open femminile. Sarà ricordata per il successo di Noami Osaka, certo, ma anche per la furia di Serena Williams per il “warning” del giudice di sedia Carlos Ramos per aver ricevuto consigli tecnico-tattici, tecnicamente “coaching”, dal suo allenatore Patrick Mouratoglou. Il tecnico francese ha ammesso di aver inviato segnali alla Williams. Da parte sua, l'americana sostiene di non essersi accorta di nulla. Come sia andata veramente, beh, resterà un mistero. O meglio, un'opinione. Di certo, “Mou” non ha preso bene l'accaduto perché Serena potrà raccontare di aver perso la partita (anche) per quello. Detto che era già in svantaggio di un set e che una campionessa del suo calibro non poteva concedersi un teatrino del genere, su un punto il clan Williams ha ragione: non c'è troppa chiarezza e nemmeno applicazione uniforme delle regole sul coaching. E Mouratoglou, che di certo non si sottrae ai riflettori, ha scelto il suo profilo Twitter per lanciare una proposta chiara e precisa: a suo dire, il coaching dovrebbe essere liberalizzato. Nel suo intervento, lungo due pagine di Word, spiega che se ne parla da cinque anni e si tratta di una contrapposizione tra due scuole di pensiero: conservatrice e moderna. “Permettere il coaching renderebbe il tennis più competitivo negli anni a venire, mentre evitarlo eviterebbe l'arrivo di nuovi appassionati” scrive Mouratoglou, prima di elencare – e motivare – le quattro ragioni che dovrebbero indurre alla legalizzazione totale del coaching.

  1. Il coaching deve essere riconosciuto e valorizzato.

Il coaching è componente diretta di ogni evento sportivo. Proibirlo significa ritenerlo qualcosa di nascosto o addirittura disonorevole. Autorizzarlo, invece, consentirebbe al pubblico di godersi uno spettacolo che rimane cruciale nel mondo dello sport. “Sono orgoglioso di essere un coach – dice Mouratoglou – e vorrei che questo lavoro, uno dei più belli del mondo, fosse finalmente riconosciuto”.

  1. Il tennis è l'unico sport in cui non è consentito.

Il coach francese non ha mai compreso perché il tennis non consenta l'intervento degli allenatori. “Lo si vede negli sport di squadra, in cui gli allenatori danno indicazioni da bonrdocampo e hanno l'intervallo per parlare con i giocatori. Nel basket ci sono i time out, nella boxe i tecnici hanno contatto costante con i pugili, i ciclisti parlano via radio con le ammiraglie e persino i golfisti parlano con i loro caddies. Il tennis sarebbe l'ultimo a implementare la regola, ma meglio tardi che mai”.

  1. Migliorerebbe la qualità del gioco e risolverebbe alcuni problemi.

"Per trovare nuovi appassionati di tennis, bisogna ammettere che si tratta di uno sport piuttosto complicato. E allora, per coinvolgre nuovi fan, bisogna coinvolgerli sul piano emozionale. Mostrare le discussioni tra giocatore e allenatore è un modo per riuscirci. In caso contrario, il tennis rischia di essere seguito soltanto dagli appassionati più accesi. A volte capita che ai giocatori non piaccia quello che dicono gli allenatori, ma questo crea ancora più 'drama', accende il pubblico e il coinvolgimento sui social network."

  1. Metterebbe fine all'ipocrisia regnante nel nostro sport.

"Nonostante sia vietato, molti allenatori continuano a fare coaching. Tutti i giocatori guardano verso il loro angolo, alcuni lo fanno addirittura dopo ogni punto. Alcuni allenatori comunicano tramite messaggi in codice, ma la maggior parte in modo verbale. A volte vengono puniti, ma accade raramente: gli organi di governo del tennis sono consapevoli della situazione e non chiedono agli arbitri una stretta applicazione delle regole".

“Per questo – conclude Mou – per il tennis è giunto il momento di autorizzare e strutturare il coaching, cosa che la WTA ha già permesso nel 2008 con il coaching sul campo, a parte gli Slam. Certe pratiche sono state tollerate per decenni. Questo, credo, assicurerebbe uno sviluppo al nostro sport”. Il punto numero 4 parte da un principio giusto (l'ipocrisia dilagante), ma poi sembra una frecciata indiretta a Carlos Ramos, come se applicare rigidamente il regolamento durante lo Us Open sia stata una colpa. Non sappiamo se sia vero – come sostiene Mouratoglou – che gli organi di governo del tennis hanno chiesto agli arbitri di non applicare rigidamente le regole, ma non può passare il messaggio che un arbitro abbia sbagliato quando lo fa. Le regole sono lì per quello: o ci sono, o non ci sono. Fino a oggi, dunque, l'errore è qualsiasi mancata sanzione per coaching, non il contrario. Sugli altri punti si può discutere: si entra nel campo della soggettività. Per esempio, siamo certi che i consigli di un coach migliorino la qualità di una partita? Non è sempre così. A volte i contenuti di una discussione possono essere tali da necessitare riservatezza (non a caso, in certi casi i coach WTA possono spegnere il microfono), e poi negli sport di squadra le telecamere non possono entrare negli spogliatoi tra un tempo e l'altro per captare le indicazioni dei tecnici. Detto questo, alcune considerazioni di Mouratoglou sono condivisibili e, tutto sommato, sarebbe corretto arrivare a una sperimentazione. C'è un problema: non tutti i giocatori hanno sempre il coach al loro fianco, o almeno non ce l'hanno sempre. Consentire il coaching potrebbe creare situazioni di squilibrio tra chi ha sempre qualcuno accanto e chi non ce l'ha, almeno in quel momento. Di riflesso, potrebbe anche essere svilente per i migliori allenatori, perché potrebbe succedere che un tennista si faccia consigliare da amici, colleghi e preparatori, facendo passare il messaggio (errato) che si tratta di una professione per tutti. In definitiva, è corretto aprire un dibattito sull'argomento. Tuttavia, l'applicazione dovrebbe essere rigorosa e supportata da regole certe. E non come accaduto nelle qualificazioni dell'ultimo Us Open, in cui alcuni giocatori si facevano persino fare i massaggi ai cambi di campo...

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